Può capitare di imbattersi in libri che danno sostanza a un desiderio antico: perdersi tra le loro pagine con la sensazione di sentirsi per la prima volta (o per l’ennesima volta) in totale agio in un universo riconosciuto come il proprio. Sperimentare la leggerezza gratificante di sentirsi a casa. Anche se casa è in un’altra epoca e in un altro spazio, tra quelle pagine sembra prendere vita un destino in cui il lettore si riconosce e, di più, a cui giura di rimanere sempre fedele.

Un lettore che riesce a provare questo è un lettore in stato di grazia. Anzi, è un uomo o una donna in stato di grazia.

Io però mi chiedo se qualcuno abbia mai avuto la ventura di plasmare (e non importa se in maniera inconsapevole) la propria vita su quella di un personaggio da romanzo. Non sto parlando di chi si atteggia a personaggio da romanzo, ma di chi nella lettura di un libro trova pagina dopo pagina se stesso in maniera totale. Cioè non solo nella leggera e sognante ipotesi di somigliare a un personaggio che lo attrae, ma di avvertire che tutta l’atmosfera nella quale quel personaggio vive è la stessa che lui, lettore, respira. E che lui, lettore, da un’epoca magari lontana della sua giovinezza, sogna che nell’intero percorso della sua vita sarà quel personaggio o quei personaggi.

La sorpresa che mi è capitata leggendo in questi giorni (ne ho già parlato) la bellissima biografia che Peter Seewald ha dedicato a Benedetto XVI è stata tanto folgorante quanto inaspettata. Che Joseph Ratzinger sia un intellettuale finissimo e uno dei massimi teologi l’ho imparato nel corso del tempo e non l’ho scoperto da subito per grazia infusa. E questo è già un privilegio: imbattersi in una mente acutissima, scoprendola gradualmente e con stupore sempre crescente. È una cosa che aiuta a limare passo dopo passo le proprie asperità intellettuali, a ridefinire i contorni del proprio amore per il sapere. A eliminare, per usare una espressione ormai nostra, la cornice che è intorno per buttarsi nel vasto mondo. Senza cornice, appunto. Che è come dire: senza rete.

E ora torniamo al punto. Scoprire che due dei tre libri più amati da Ratzinger siano Il lupo della steppa e Il giuoco delle perle di vetro di Hermann Hesse (il terzo è l’immenso Confessionum Libri XIII – Le confessioni, per dirla in breve, di Sant’Agostino) è stato davvero un colpo non da poco.

In fretta e furia ho dovuto farmene una ragione senza peraltro essere capace di trovare una giustificazione razionale. Proprio quel libro che tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta si è costruito la fama di testo quasi psichedelico (qualcuno racconta che sia stato il testo principe per la generazione di Woodstock). Proprio quel libro nel quale si fanno i conti con la bipartizione in lupo e in uomo, in istinto e spirito con la quale si cerca di spiegare la propria sorte. La risposta immediata rischia di diventare, proprio perché immediata, troppo ovvia e dunque semplicistica: ma perché tutti gli adolescenti e i giovani hanno adorato Harry Haller; tutti hanno goduto nel rinfacciare al mondo la propria diversità e la propria tentazione solitaria. Certo, ma le cose si complicano quando uno di quegli adolescenti si chiama Joseph Ratzinger. E, beninteso, sono arrivato alla conclusione che si complicano per noi e non certo per lui.

Per noi perché allora siamo costretti, per quella onestà intellettuale che sempre inseguiamo, a cercare di capire cosa c’è in quell’uomo che la Storia ci ha messo davanti. E più si va avanti nella lettura comparata del romanzo e della biografia e più le cose sembrano chiarirsi: l’amore incondizionato per i libri, e per la musica classica, e per un ordine borghese dal quale si fugge ma del quale piace aspirarne l’ordine, e l’odore di pulito, e la consuetudine del dovere. Non so come mai, ma io, – confida Harry – lupo della steppa senza patria e solitario odiatore del mondo piccolo-borghese, abito sempre in vere case borghesi. Non abito palazzi e stamberghe proletarie, ma proprio quei nidi di piccoli borghesi sommamente ammodo, sommamente noiosi, tenuti alla perfezione, dove c’è un sentore di trementina e di sapone (…) Questa atmosfera mi è certamente cara fin da quando ero bambino e la nostalgia segreta di qualche cosa che sappia di patria, mi guida senza speranza, sempre per queste stupide vecchie vie.

Poi si legge della nostalgia senza fine per la Baviera, per la casa dell’infanzia, lo si vede camminare nel suo loden per le strade di Bonn che sembrava più un garzone di un artigiano che un genio teologico. E i suoi sogni? Fare ricerca, insegnare, scrivere. E basta. Con la continua esperienza della realtà che rischia di far naufragare – Dio non voglia – i sogni.

Allora qualcosa si capisce di questa quasi immedesimazione con il lupo della steppa.

Se poi, rimanendo sempre dalle parti di Hesse, si passa al Giuoco delle perle di vetro, qualcosa deflagra. E sembra quasi di essere proiettati in un romanzo di Philip K. Dick. Scegliete voi quale.

Da cosa cominciamo? Dal nome, ovviamente. Perché nel nome è il destinoNomen omen si diceva una volta. E il nome è Joseph (e sul nome torneremo). E poi l’aver raggiunto il gradino più alto che si poteva raggiungere. Però con quel desiderio sempre presente di non darla vinta alla realtà sui sogni. E di voler sempre ritornare lì ed “essere liberato dall’enorme peso di un incarico che non aveva cercato”.

Ovviamente non voglio togliervi il gusto di scoprire da soli dove si sta andando a parare e quindi non vi dico di quale Joseph il virgolettato ripropone il desiderio. Se di Joseph Ratzinger o se di Joseph Knecht (magari poi si scopre, chissà, che riproduce i desideri di entrambi).

Però un colpo di scena finale ci sta. Knecht in tedesco significa “servo, garzone”. E in una serata d’aprile del 2005 l’ho sentito con queste orecchie, Ratzinger, definirsi “un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”. Per non dire di quella serata del febbraio 2013 quando lo stesso Joseph dice, più o meno, miei cari, non ce la faccio; ci vuole la forza che io non ho; molto tempo della mia vita e dei miei desideri sono andati; prediligo tornare ad essi. Ma qui le cose mi si confondono, e io non riesco più a capire quale dei due Joseph stia adesso parlando.

E poi qualcuno dice che i libri non segnano le vite.

[articolo pubblicato online sul gruppo Facebook Book Advisor, 7 gennaio 2021]