
È difficile, anche per un lettore navigato o per un critico espertissimo, decidere come connotare il fascino del racconto di Jorge Luis Borges La Biblioteca di Babele. Se declinarlo sul versante del perturbante o se, invece, ammirarlo come una metafora dell’universo. Cosa, quest’ultima, che lo stesso Borges suggerisce immediatamente paragonando l’universo alla Biblioteca. Ma Borges inganna (ed è un piacevole inganno) il lettore per almeno due motivi.
Il primo, perché non si assume la paternità – e dunque la responsabilità – dell’ardita metafora, ma la affida a un soggetto “altro” e dunque non ben determinabile. L’universo (che altri chiama la Biblioteca): scrive proprio così l’illustre porteño. Il secondo, perché si diverte a spaziare tra i concetti di indefinito e infinito. Indefinito è il numero delle stanze (ma forse infinito); infinita è la Biblioteca stessa. E anche questo aiuta a rimanere, leopardianamente, nel vago. E dunque nel poetico e nel fascinoso.
Tutto questo per dire che c’è sempre una molteplice spiegazione nell’agire compulsivo di chi ama i libri e di chi ama perdersi nelle storie raccontate dai libri. Agire compulsivo che consiste nell’acquistare libri come se fossero caramelle; o di passare dalle pagine di uno a quelle di un altro, con la leggerezza, l’inquietudine e l’irresistibile desiderio (sempre incerto tra lo spirituale e l’erotico) di Don Giovanni; oppure di ostinarsi a leggerne uno per volta dalla prima all’ultima parola, con una fedeltà monogamica che molti invidiano e che molti altri non comprendono.
L’unica cosa capace di ricondurre a unità le intellettuali acrobazie di Borges e le multiformi psicologie dei lettori è il fascino che ogni libro e ogni biblioteca racchiudono.
In una bellissima pagina di Auto da fè Elias Canetti ci presenta il professor Peter Kien – studioso di sinologia – intento in una delle sue solite passeggiate mattutine caratterizzate soprattutto dal piacere che prova nell’ammirare le vetrine delle librerie incontrate lungo il percorso. Una cosuccia innocente, solo una breve perdita di tempo, in fin dei conti, se non fosse accompagnata dalla grande passione per i libri. Passione che, come tutte le passioni, induce alla tentazione. Quale? Ma di comprarli tutti, quei libri. Anche correndo il rischio di incappare in qualcuno di poco o nullo valore. Ma il professor Kien è una strana creatura, quasi mitologica. Proprio come Borges che, tra l’altro, ha dato nome e sostanza a Jorge da Burgos, il bibliotecario cieco della famosa abbazia del Nome della rosa di Umberto Eco. È, cioè, uno studioso in tutto paragonabile al bibliotecario perfetto visto che seduto al suo scrittoio, redigeva interi saggi addentrandosi nei più minuti particolari, senza mai consultare altra biblioteca se non, appunto, quella che aveva in testa.
E il mondo, con le sue gioie e i suoi inganni, dov’è? Solo davanti alla vetrina di una libreria o tra le sterminate bibliografie mandate a memoria? Questa è una domanda dirimente. Purtroppo la risposta non è immediata. Dove ci sono libri, dove c’è una biblioteca, facile è la possibilità dello spaesamento. Immaginate come dovette sentirsi il personaggio iniziale del romanzo di Sholem Asc Il Nazareno subito dopo essere entrato in casa di quell’uomo che, letteralmente, non apparteneva ai nostri tempi. Attraversata con lui una camera lunga e stretta le cui pareti erano ricoperte di libri non allineati, bensì legati in pacchi come per essere spediti altrove, vive l’antipatica esperienza che racconta con queste parole: subito dopo avermi fatto entrare nella stanza, l’uomo mi dimenticò completamente e riprese il suo posto alla scrivania, dalla quale l’avevo distolto col suono del campanello. Non solo trascurò d’invitarmi a sedere, ma mi ignorò in modo assoluto, come se non fossi neppure stato presente.
Qui lo spaesamento rischia di essere totale e di comunicare quanta e quale sia la distanza tra il libro, la biblioteca e la vita. Ma poi a qualcuno capita di leggere Continuità dei parchi di Julio Cortázar e invece dello spaesamento ci si imbatte nel vero e proprio perturbante. Solo che qui bisogna stare attenti perché nessuno può sciogliere l’indecisione che si crea tra lettore e personaggio, tra la storia narrata e la vita vissuta. E decidere con chiarezza (e con un sospiro di sollievo, vista la sorte che attende il lettore) chi sia chi e cosa sia cosa. Così la storia dell’uomo che, seduto comodamente in poltrona, sta leggendo un romanzo nel quale si racconta di come una donna programmi insieme al suo amante di uccidere il proprio marito, diventa un monito per il lettore. Perché quel lettore, così sprofondato nella lettura del romanzo, non può accorgersi che l’amante di sua moglie gli è ormai alle spalle per ucciderlo.
E dunque, come venir fuori da questo universo nel quale i libri (e le nostre Biblioteche) ci gettano? In un solo modo: darsi per vinti e accettare il proprio destino. Cioè a dire: non venirne affatto fuori. Del resto anche il saggio Seneca tentenna con il suo caro Lucilio, e quando cerca di dirgli procurati solo quello che puoi leggere perché non saresti in grado di leggere quanto puoi procurarti, addolcisce il consiglio permettendogli di passare da un libro all’altro, se ne ha voglia. L’importante è, poi, ritornare a quelli di provata autorità.
Ma pure questo è un viaggio solo apparentemente di andata e ritorno. Perché di libro in libro, di lettura in lettura, non si ritorna mai al punto di prima. A ogni lettura successiva, lo sanno bene tutti, un libro non è mai uguale a se stesso. Se dunque l’universo è una Biblioteca, e se entrambi sono indefiniti e infiniti, non c’è ritorno. E il lettore è un vagabondo delle stelle. Come quel personaggio dello splendido romanzo di Jack London che si fa beffe di muri e celle, di passato, presente e futuro, e va, anche lui incurante di ogni cornice, nello spazio infinito delle storie che ama raccontare o ascoltare.
[articolo pubblicato online sul gruppo Facebook Book Advisor, 21 gennaio 2021]
Spaesamento è proprio la parola che in questo momento ci descrive meglio, e non soltanto riguardo ai libri. Ciao Attilio, ti leggo sempre con grande piacere
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Hai ragione Dede. È un po’ così. Un abbraccio.
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Attilio, è sempre un piacere leggerti e soprattutto ritrovarmi in molto di ciò che dici, anche se la mia formazione mi porta a cercare la bellezza tra le formule!
Un caro saluto Giusy
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Ciao Giusy, come stai? È un vero piacere per me trovarti qui. Spero che vada tutto bene. Un caro saluto a te.
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Suggerisco il breve passo del bibliotecario di Kacknia da Musil ” L’uomo senza qualità ” da aggiungere oltre al bibliotecario umbratile sopravvissuto alla sua finta morte Mattia Pascal (Pirandello ovviamente) e il romanzo Se una notte d’inverno…etc magari per un prossimo articolo. Grazie per quello presente.
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Grazie a te per la pazienza e l’attenzione, e per i preziosi consigli. Un saluto cordiale.
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