
David Gilmour. Foto tratta da rollingstone.it
È difficile scegliere (e trovare) dei maestri capaci di indicare una strada sicura in tempi di smarrimento e di incertezza.
Soprattutto quando l’incertezza e lo smarrimento derivano dal vivere in un periodo che – come ha scritto Marco Tarquinio sul quotidiano Avvenire nell’editoriale del 30 giugno – sembra capovolgere il codice valoriale che è alla base del nostro umanesimo.
Con la conseguenza che persino solo il sentir pronunciare la parola “solidarietà” venga vissuto da molti come un pericoloso attacco criminale. Alla propria libertà (che spesso non prevede la libertà altrui), alle proprie necessità (che spesso negano le necessità altrui), ai propri soldi (ma come li usano “in realtà” le organizzazioni di volontariato?), alle proprie paure (che spesso sono costruite sulla negazione e criminalizzazione della libertà, dei bisogni, delle paure altrui).
In questa situazione credo che ci sia, di fatto, una grossa confusione dovuta anche al progressivo svilimento di alcuni valori su cui si è costruita la nostra Europa. Ma, siccome ad alcuni comincia a essere di peso anche la nostra Europa, diciamo pure la nostra Italia.
Tra questi valori vi è quello alla base della particolare e ampia concezione culturale dalla quale noi – per il tramite anche del Cristianesimo – siamo nati. Credo che la parola ecumene significhi proprio qualcosa del genere, in una accezione sia religiosa che filosofica. La casa comune in cui tutti viviamo. Ma questo sembra essere ignorato.
Poiché tutto questo svilimento valoriale genera confusione, c’è bisogno di buoni maestri. I quali insegnano quasi sempre senza sprecare troppe parole.
Con lo stile che gli è proprio, David Gilmour ha avuto la bontà di regalarci altre cose oltre al suo leggendario tocco chitarristico. Questa volta ha messo all’asta tutte le sue chitarre per finanziare attività di contrasto al cambiamento climatico. Altre volte ha finanziato la costruzione di residenze per senza tetto. E sono solo due delle tante manifestazioni della sua filantropia.
Anche questa volta lo ha fatto come sempre. Senza inutili discorsi e senza eccessivi presenzialismi. A conferma che c’è una grammatica dell’essere. Chiara, semplice, efficace. Ognuno fa quello che può e quello che sente giusto fare. E non è una questione di “avere soldi”, pochi o tanti.
È una lezione importante anche questa. Soprattutto, mi permetto di consigliare, per chi contravvenendo, o forse solo ignorando, il saggio consiglio dell’evangelista Matteo (E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente) ostenta, declama, invoca.
Alla fine, e comunque, ognuno di noi dà ciò che è.